Fabio Mauri
UNA CARTOLINA DA TULLIO_
Con Tullio Catalano abbiamo riso molto.
I nostri viaggi Roma L’Aquila e L’Aquila Roma erano divertenti; al punto che una volta sorpassammo L’Aquila di 30 e più kilometri, giungendo a lezione finita. Fummo molto sgridati. Il tema del colloquio doveva meritarlo.
Tullio aveva la capacità “distante” di giudicare con profondità storica gli eventi dell’attualità.
La sua riflessione usciva in forma sottile ma consolidata. La novità, le novità che osservava da molto lontano, viste da vicino risultavano definite con precisione nella loro natura meno evidente, come se avesse un’esperienza remota del nuovo, dell’appena accaduto.
Appariva disincantato, (era presentissimo), incuriosito da ciò che accadeva, ma enigmaticamente distaccato. Una estaticità esperta verso la storia del mondo sembrava coincidere con una rassegnazione.
Ho cercato di spiegarmi Tullio, attraverso diverse ipotesi, per capire dove risiedeva il suo interesse naturale alla vita. Non era facile, data la facilità con cui ne faceva a meno.
Non l’ho mai sentito lamentarsi, né cercare di condividere le sue catastrofi. La morte della sua compagna, del fratello, della madre, il proprio male.
Il destino impietoso gli era così familiare che gli conferiva il senso irrimediabile di una singolarità e della misura arbitraria ma irrinunciabile del mondo.
Non si capiva l’intensità dei suoi interessi, né ho mai capito se ne aveva per me. Mi parlava (mi vedeva, credo) da storico del destino, come se io gli fossi stato assegnato da tempo. Gli ero noto. Forse facevo parte, per una salute meno cattiva della sua, un lavoro non insoddisfacente, mezzi migliori di sussistenza, dell’ineliminabile ingiustizia del mondo, di cui non era avversario, ma consapevole e discreto osservatore.
So che gli amici sono quelli che non devi chiamare, che ti chiamano. Tullio lo faceva, passava a studio, mi portava cataloghi, inviava cartoline, telefonava, fornendomi notizie precise della sua vita randagia da cui mi sapeva lontanissimo. Regalava un’avventurosa casualità ad un sistema sufficientemente ordinato, che visibilmente era il mio, intuendo che essere altrove mi interessava.
Confermava, in effetti, il suo enigma. Accostandolo, si percepiva una sua non ipotetica grandezza. Attuarla significava ridurla, certo, ad una storia misurabile, che la sua residenza interiore aveva già sorpassato.
Non sono idee post mortem. Mi chiedevo le stesse cose di lui con gli amici, senza troppe conclusioni, da vivo.
Lasua disponibilità al farsi dare l’appuntamento, da chi era libero, lo rendeva, rifletto, inafferrabile. La sua disponibilità lo era. Usava il suo tempo, stretto tra disagi e necessità, come un sistema ampio di tempo libero.
La sua fatica di vivere restava di sua sola competenza. Trapelava una coscienza, da sempre, di non essere nel numero. Nel numero dei fortunati, degli aventi diritto, degli scampati, o addirittura dei viventi. Dalle onde di vita che lo raggiungevano, (Tullio esercitava del fascino, un maieuta arabo dall’occhio fenicio), si ritirava, presto, con discrezione.
Lo ha sempre accompagnato uno stile di uscita dalla vita.
Indubbiamente artista, sempre colto, sempre intelligente. I suoi orari talmente faticosi che non c’era posto per la pigrizia, non c’era posto per una vita, in pratica. Tullio viveva con intelligenza, come una teoria vivente dell’inspiegabilità del mondo, con il minimo di fisicità, di corpo necessario ad esservi.
Vestiva con abiti di altri, più larghi, più alti di lui, un ricco guardaroba di risulta, mai modesto, chapliniano, il più inventivo clochard visto in giro.
Era uso tra noi frequentare le reciproche lezioni. Le sue erano strabilianti. In un’aula non chiassosa, piena zeppa di studenti, Tullio parlava in un angolo con una o due ragazze, di un tema d’arte o di vita. Quella era la lezione. Gli altri stavano, tra di loro, a loro agio, del tutto rispettosi e sodali nel clima socratico del loro amico professore. Poi uscivano a cena con lui o lo ospitavano su un divano, la notte. La comprensione aperta come un cielo, su tutto, e ciascuno. La differenza teorica tra arte e vita cancellata.
Difficile non aver voluto bene a Tullio, nonostante l’impotenza che somministrava ogni istante ai tentativi spontanei di sistemarlo un po’, un po’ meglio.
In qualche libro o in riviste si possono leggere saggi di Tullio. La sua acutezza vi si dispiega, stabilendo quell’infinità di rapporti tra elementi che è dell’intelligenza stabilire. Un testo egregio, difficile, carico di senso incompiuto a motivo della densità stessa della sua visione del senso generale delle cose. Mai chiuso in un solo schema. Il pensiero, come il destino, era generale ma circostanziato, epocale, anche locale, e sterminato nelle sue relazioni, deduttivamente infinito.
Ho visto altri casi come il suo, di apparente fallimento. Amici d’infanzia, maestri fin dalla gioventù, talentosissimi, sensibili guru che hanno disperso le loro risorse in una grandezza poco mondana, quasi siderale. Uomini su cui potevi contare. Cancellati ma mai diminuiti dalla sorte, fedelmente virtuali, sul serio esistiti. Dimenticarli è impossibile. Risiedono nella coscienza più che nella memoria degli amici.
La loro comprensione della trama vistosa e infedele del mondo gli era nota fin dall’inizio, chissà come.
“Non è meraviglioso?” mi faceva notare Padre Riches, un apolide amico “Avere in mano gli strumenti della grandezza e superarla con discrezione”. Pensiero che non mi ha mai subito convinto, anzi, tuttora mi turba. Secondo me, si scontra con la parabola evangelica dei talenti. Deve invece contenere qualcosa di altrettanto vero. Di prettamente religioso. La ricostruzione del senso del mondo, cui l’esperienza del tempo e degli uomini necessariamente ti obbliga, risolta da un punto di osservazione molto alto.
Tullio mi manca. E’ una delle persone che non mi è riuscito di seguire, fino alla fine. Non si riesce a farlo con nessuno. In effetti, come di un figlio, di una madre, di un fratello, ho pensato che non sarebbe mai morto.
Non gli ho comprato un suo pianoforte verticale, non sapevo dove metterlo. Mi dispiace, ma sono quasi certo che non avrei modificato niente. Un rimorso mi lega con più forza a lui.
Lascio concludere questo corto ricordo alla sua ironica generosità.
Tre giorni dopo la morte, mi arrivò una bella cartolina da Bologna, con l'interno di San Petronio a colori. Dietro era scritto: “O.K. Trapianto riuscito! Un saluto in attesa di vederti. Tullio”.
Forse la serie di disavventure erano finite, si poteva iniziare una vita nuova.
Credo proprio sia andata così.

Fabio Mauri . Roma 16.02.2000



Così Fabio Mauri ha ricordato Tullio Catalano nel cimitero romano di Prima Porta